TW: la durezza del mondo
Questo articolo è stato scritto con il supporto di intelligenze artificiali in revisione e per la proposta delle domande.
Spesso la gente mi chiede: “TJ, ma come fai a mantenere la sanità mentale in un mondo al collasso e partecipando ad una società che fondamentalmente viaggia tra l’ignavia e la complicità?”
“E che cazzo ne so ”, vorrei rispondere, “io sono impazzito da ormai diversi anni.”
Ma visto che non sarebbe educato e nemmeno di buon esempio rispondere così, questa è la risposta che offro.
Per affrontare positivamente questi tempi sfortunati, è necessario interiorizzare uno spazio che contenga quattro punti di vista tra di loro complementari ma anche contraddittori: quelli estremi del Doom e del Bloom e quelli intermedi di minaccia ed opportunità.
È un processo che richiede di affrontare un bel po’ della propria interiorità e di cacciare fuori il proprio dolore e le proprie paure; ogni tanto è bene fare un check per controllare che le diverse prospettive siano rimaste in equilibrio e può essere davvero utile per non uscire matti davanti alle notizie che ci arrivano ogni giorno. Pur mancando di competenze specifiche nel campo, credo inoltre che questo tipo di strumento cognitivo (o comunque qualcosa del genere) sarebbe un’importante aggiunta per qualunque cucciolo di umano che si trovasse ad affrontare insieme a voi le difficoltà di questi anni. Se state leggendo queste parole, probabilmente siete persone adulte e potreste essere il riferimento di qualche giovane, e questa è una reale e grande responsabilità, ora più che mai. “Ah ma io figli non ne voglio“ non me ne frega niente, magari diventerai ziə, magari una persona a cui vuoi molto bene farà figli e tu vuoi o non vuoi dovrai averci a che fare e magari un giorno anche avere delle responsabilità a riguardo. Basta con queste cazzate da millennials nichilisti, prendersi cura delle prossime generazioni è un atto di resistenza reale. Ogni bambinə, ogni ragazzə che vediamo per strada potrebbe essere nostrə figliə e dovremmo comportarci di conseguenza.
Ogni parte del discorso ha delle domande che credo possano aiutare ad interiorizzare in maniera migliore ciò di cui sto parlando.
1) Doom
Sta andando tutto male. Ma male male male. Non credo di dover essere io a dirvelo, ma in caso abbiate ancora qualche dubbio, vi invito a dare un’occhiata a questa newsletter, scorrete gli articoli di vari giorni e quando avrete capito tornate qui.
In alternativa, il buon Roger lo spiega bene qui, oppure potete leggervi Breaking Together di Bendell, ma anche Deep Adaptation va benissimo.
Per farla breve, abbiamo COMPLETAMENTE perso il controllo sulla direzione e soprattutto sulla costante accelerazione dei processi di collasso ecoclimatico.
La crisi climatica (aumento generalizzato delle temperatura di superficie del pianeta e sconvolgimento della normalità meteo-climatica) e quella ecologica (collasso delle catene alimentari, avvelenamento da microplastiche, ecc..) si sono intrecciate in un cappio che si sta stringendo attorno al nostro collo e continuano ad alimentarsi a vicenda in un cazzo di film dell’orrore.(Da qui in avanti ci riferiremo a questo iperoggetto come CCE)
C’è una possibilità concreta di arrivare a 4 gradi di aumento medio delle temperature per fine secolo, e questo vuol dire che chi nasce oggi in Italia, dati alla mano, ha la concreta prospettiva di vedere il pianeta diventare un fiammifero bruciato. Un buco nero. Le pagine più nere di Diluvio di Markley. Non parliamo poi delle notizie di guerra, non parliamo poi del generale disfarsi di quello che chiamavamo “ordine internazionale basato sul diritto”, non parliamo degli psicopatici con il pisello appoggiato sul pulsantone nucleare.
Il Doom è la consapevolezza della fragilità del sistema su cui ci appoggiamo, ma anche della nostra stessa vita. Un paesaggio di rovine con i Godspeed You! Black Emperor che suonano in sottofondo. Come dei condannati a morte a cui non è stata comunicata la data dell’esecuzione, ci svegliamo ogni giorno in attesa della nostra possibilità più certa.
Dopo qualche anno in cui questa situazione mi ha effettivamente abbastanza abbattuto, mi sono reso conto, o forse è meglio dire che sono riuscito ad interiorizzare in maniera funzionale, che in realtà, ehm, non è niente di nuovo.
Tanto per cambiare, ad aiutarmi sono state le frasi del Vangelo.
34 In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga.
35 Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Cristo profetizza disastri, guerre e falsi profeti già duemila anni fa e nei secoli tante volte l’umanità si è chiesta se non fossero arrivati i tempi dell’Apocalisse biblica e secolo dopo secolo, nonostante tutto, siamo ancora qui.
Allo stesso tempo, però, tutte le persone vissute finora su questo pianeta sono morte ed hanno quindi dovuto affrontare la propria personale Apocalisse. Per chi muore, è la fine del mondo. Memento mori, ricordati che devi morire. (Si, si, ora me lo segno!). Affrontare la propria morte è un po’ la missione finale di ognuno di noi, vuol dire mettere mano al mistero della vita e dell’esistenza e non è certo cosa facile già di suo, figuriamoci quando sembra coincidere con un’estinzione di massa. E così come abbiamo sempre cercato di affrontare la morte insieme, possiamo e dobbiamo affrontare insieme anche questa grande morte. Cercare di darle un senso, imparare a parlarne e costruire un racconto collettivo di questo nostro tramonto. Lo dobbiamo a noi stessə. E mentre facciamo i conti con tutto questo, ricordiamoci anche che, beh, è la nostra possibilità più certa, ma fino a che non succede rimane solo una possibilità. E visto che non sappiamo a che ora è la fine del mondo, e che comunque non arriverà necessariamente di botto, quando il Doom sembra sopraffarci fermiamoci un momento, onoriamo la vita, ricordiamo i morti e continuiamo a vivere.
Affrontare il Doom può essere un momento davvero liberatorio, capace di farci abbandonare tanti pesi che la società o chi per lei ci hanno imposto. Aspettative, regole insensate, tutto quello che non abbiamo mai sopportato di questo mondo ingiusto che ci dicono essere il migliore possibile. Affrontare il Doom vuol dire sentire la propria rabbia contro la più grande ingiustizia mai commessa, la potenziale cancellazione della possibilità di vita per tutti gli esseri viventi di questo pianeta. Vuol dire sentire la profonda solidarietà che dovrebbe legarci tuttə davanti alla morte. Essere capaci di sviluppare una connessione emotiva sana con la situazione che abbiamo davanti è una necessità reale se non vogliamo lasciarcene sopraffare.
Spleen
E lunghi funerali, senza tamburi né musica,
sfilano lentamente nella mia anima;
vinta, la Speranza piange; e l’atroce Angoscia, dispotica,
pianta sul mio cranio chinato il suo vessillo nero.
(C. Baudelaire, Spleen)
Dalla notte in cui lessi Deep Adaptation nella sala ospiti di un ostello di Amsterdam sono passati ormai più di sei anni. Sei anni in cui ho vissuto con questa spada di Damocle sospesa sopra la testa. Il mondo in cui vivo è molto cambiato, ma non è ancora finito, con mio sommo disappunto. Io stesso sono molto cambiato, ma alcune cose sono rimaste uguali. Tra le altre cose non ho ancora smesso di fumare, tanto sta finendo il mondo e presto moriremo tuttə. Tra dieci anni avrò nuovi polmoni e tutto il tempo per risporcarli. Se avessi smesso di fumare da qualche anno avrei risparmiato un paio di migliaio di euro ed avrei dei denti e dei polmoni più puliti. Eppure siamo qui.
Spaccarsi di sigarette è un’attività molto in voga negli ambienti rivoluzionari: un po’ per nervosismo, un po’ perché fa figo, un po’ perché il tabacco fa sempre comodo. Fumare una sigaretta è una delle poche attività che ti consentono di mettere la testa fuori dalle stanze del commissariato quando sei in fermo, e in sei/otto/dieci ore di fermo i cicchini si sprecano.
Quando il Doom ti si imprime addosso non c’è modo di scollarselo, e chiunque abbia anche solo sfiorato la consapevolezza di questa realtà non può scapparne, a meno di mentire profondamente a se stessə o di utilizzare i soliti mezzucci per spegnere la voce che ci chiama ad affrontare ciò che sappiamo essere vero. Vivere esclusivamente nel Doom non fa bene se non si è dei santi e se vi sentite sopraffattə cercate supporto nella vostra comunità e magari anche aiuto professionale.
DOMANDE:
Che idea mi sono fattə della vita, dell’universo, di tutto quanto? Saprei comunicarla ad un bambino o ad un adolescente?
Cosa succederà quando morirò? Mi interessa saperlo? Mi interessa chiedermelo? Se sì, perché? Se no, perché?
Sento di avere dei rimpianti rispetto a come ho condotto la mia vita finora?
A quanto di ciò che sono realmente ho rinunciato per integrarmi in questo sistema?
Se questo fosse l’ultimo giorno della mia vita, come lo vivrei?
Se questo fosse l’ultimo giorno della vita di una persona che amo, come le starei accanto?
Quale evento di collasso (climatico, sociale, politico) ti ha colpito più profondamente? Perché proprio questo?
Se sapessi con certezza che il mondo finirà nel 2040, cosa smetteresti di fare domani?
"Affrontare il Doom è liberatorio": quali pesi della società attuale saresti pronto a abbandonare?
2) Prepararsi alle turbolenze
Tanto per capirci, da qui in avanti ci aspettano solo problemi. Come ho già spiegato in un altro articolo, mentre noi poveri stronzi dobbiamo continuare barcamenarci nella follia dei nostri tempi, un manipolo di psicopatici tossicodipendenti gioca a dadi con il futuro del mondo. E visto che purtroppo e per fortuna la CCE non è un asteroide, se state leggendo queste righe, è ora di prepararsi. Tanto per capirci, giusto l’altra sera ho sentito un famoso meteorologo raccomandare a chi lo ascoltava di iniziare a cercarsi casa sull’ Appennino.
Nei giorni in cui scrivo un’ondata di caldo si appoggia dolcemente sul nostro paese e l’estate inizia il suo sporco gioco. Saranno tre mesi difficili, in cui avremo diversi comuni, se non intere regioni, con l’acqua razionata. Immaginatevi le case popolari di Roma, di Firenze, di Palermo, di Napoli che si vedono tagliata prima l’acqua e poi, con i primi blackout, l’elettricità. E magari non sarà questo l’anno in cui vedremo le cose peggiori, ma alcuni esperti molto affidabili mi dicono che l’estate ha questo brutto vizio di tornare ogni nove mesi circa, che non è proprio tantissimo tempo se ci pensate bene.
E voi, dove sarete quando ci sarà la prossima ondata di calore? Quanto lontano vi arriverà la prossima alluvione? Vostra nonna ha il condizionatore in casa? Lavorate all’aperto o in un ambiente caldo? Come si vive la stagione dentro le cucine dei ristoranti e dietro i banconi dei bar? E nelle officine? Nei cantieri edili e in quelli stradali? Quanti morti dobbiamo aspettarci per il calore e per gli incendi quest’anno? Quale sarà la prossima infrastruttura a venire giù, quale sarà il prossimo ghiacciaio?Quanti miliardi di euro di danni? Quanti titoli del giornale? Quante scuse? Ci dispiace. Ci dispiace. Ci dispiace.
Ora, visto che con queste scuse, se saranno stampate sulla carta giusta, ci si potrà giusto giusto pulire il culo, direi che la palla sta in mano a noi. Affrontare le turbolenze vuol dire interiorizzare un po’ di mentalità da prepper. Vuol dire prendere coscienza del proprio corpo, del proprio spazio, dei propri strumenti. Vuol dire essere attori razionali che, davanti all’avanzare dell’emergenza gestiscono le proprie risorse in maniera ottimale. Ci serve equilibrio per continuare ad andare avanti, ci servono le energie di tre pasti al giorno, ci serve una comunità di cui essere parte ed in cui crescere, sperimentare, rischiare. La massima è sempre quella: nessuno si salva da solo, ma chi non si salva da solo non lo può salvare nessuno. Un’altra contraddizione da comprendere e mettere a sistema nel lavoro che facciamo.
Nel bunker
Una delle caratteristiche richieste dall’era delle turbolenze è una buona dose di cinismo. Si, morirà un sacco di gente. Sono già morte decine di migliaia di persone innocenti a Gaza, per dirne una, forse centinaia di migliaia di morti e Dio solo sa quanti altri in arrivo. Fattene una cazzo di ragione. Piangi tutto il tempo che serve, grida tutte le maledizioni che vuoi, ma ricordati che anche le lacrime più dolorose dopo un po’ lasciano spazio alla fame. Se non la tua, quella di chi hai vicino e di cui magari devi prenderti cura. E quindi via con un bello strato di cicatrice e superiamo anche questo dolore. Man the fuck up. It is what it is.
Il rischio di questo punto di vista è quello di diventare un personaggio da operetta, Bill della versione cinematografica di The Last of Us, per capirci, o comunque uno stronzo. Se non abbiamo veramente affrontato il dolore che la situazione attuale ci causa provare a mettere tutto sotto il tappeto e fare i duri può essere utile per gestire una emergenza immediata, ma sul lungo termine avrà delle conseguenze spiacevoli.
Quindi, come diceva il Che, diventiamo durə senza perdere la tenerezza, continuiamo a piangere e ad accettare la nostra mortalità, ma anche a godere dell’umanità e della sua indomabile forza di volontà e delle piccole cose meravigliose che in ogni momento scorrono verso di noi.
DOMANDE:
Cosa pensi accadrà al luogo in cui vivi entro i prossimi 10 anni? Descrivilo con 3 aggettivi.
Se arrivasse un blackout di un paio di giorni, saresti prontə ad affrontarlo? Pensate a quello di cui parla lo spot con la commissaria europea, e poi a come è andato quel bel blackout nazionale in Spagna. Pensa al tuo primo lockdown e a come lo affronteresti ora.
Elenca 3 oggetti nella tua casa indispensabili per sopravvivere a una settimana senz'acqua/elettricità.
Chi sono le dieci persone con cui affronteresti il collasso? Ne avete mai parlato?
Chi nella tua cerchia (famiglia/vicini/amici) sarebbe più vulnerabile in una crisi? Come potresti aiutarli?
Conosci i tuoi vicini? Che rapporti hai con loro? Saresti capace di collaborare con loro in un momento di stress generale?
Vivi al piano terra o in un sottoscala? In un paese in campagna o in un palazzone di periferia? È questo il posto in cui vorresti affrontare il collasso? Dove ti vedi tra cinque anni? E tra dieci?
Conosci il tuo quartiere? Conosci la tua frazione? Dove sta la fonte di acqua più vicina?
Nella prospettiva di un decennio in cui il collasso inizia a manifestarsi concretamente ed il cibo non cresce più così bene sugli scaffali dei supermercati, hai nel tuo repertorio le abilità pratiche necessarie a sopravvivere?
Quale abilità di sopravvivenza (coltivare, riparare, medicare) vorresti imparare entro un anno?
Sai coltivare? Sai conservare? Sai fermentare? Sai produrre dell’alcol partendo dalla frutta? Sei in grado di trasformare un animale vivo in un pasto1? Sei in grado di produrre delle fibre tessili? Sai cucire? Sai prestare primo soccorso? Sai raccontare una storia ad un cucciolo spaventato? Sai contrattare? Sai fare paura?
Come ti senti davanti alla probabilità in costante aumento di collasso sociale? Hai qualcun* con cui parlare? Fai parte di una comunità resiliente o stai affrontando tutto questo da solə?
3) Resistenza
Insomma, dovete considerare che siamo fatti di sola polvere. Non è granché per andare avanti, lo ammetto, e non dovremmo mai dimenticarcene. Ma anche considerando questo, cioè questa specie di brutto inizio, non ce la stiamo cavando malissimo. Quindi, da parte mia, sono convinto che, nonostante la pessima situazione attuale, possiamo farcela. Mi sono spiegato?
(Da un audio-memo per uso interno, dettato da Leo Bulero al suo ritorno da Marte e fatto circolare tra i consulenti pre-mod della Perky Pat Layouts, Inc.)
(Le tre stimmate di Palmer Eldritch, PDK)
Siamo vivə, siamo liberə, abbiamo accesso a risorse mai viste prima nella storia dell’umanità. Se avete letto fino a qui, può essere che nella grande lotteria della vita vi sia andata più o meno bene o più o meno male, ma ecco, molto probabilmente non siete né in Palestina né in Ucraina, per dire. Non siete in Congo, non siete in una prigione di El Salvador, non siete in un campo di concentramento in Libia o in un CPR.
Abbiamo a disposizione acqua potabile, cibo, elettricità, internet. Tutto quello che non sappiamo fare possiamo impararlo con relativamente poco sforzo. Qualunque cosa volessimo fare, possiamo metterci in connessione con migliaia di persone che possono aiutarci. Molto probabilmente nessuno ci cerca per ucciderci. Si, siamo nella merda, ma per ora ancora galleggiamo. Si, abbiamo un governo fascista, ma ancora possiamo opporci apertamente allo schifo che vorrebbero costringerci ad accettare. Siamo circondatə da persone che come noi vorrebbero cambiare le cose, e se a volte vi sembra che non sia così andate ad una manifestazione qualunque, con qualche amicə o da solə, e fate un po’ di conoscenze. Non dobbiamo né arrenderci alla sconfitta né sperare passivamente che un giorno tutto possa andar bene o che qualcunə arriverà a salvarci. Ciò per cui dobbiamo lavorare, la possibilità in cui dobbiamo proiettarci, è quella per cui se ci diamo abbastanza da fare, forse, possiamo ottenere qualcosa. Stiamo già camminando da un bel pezzo, non ha senso fermarsi ora. E tanto per capirci, a camminare sono miliardi di persone. Mentre sto scrivendo questo articolo, migliaia, milioni di persone che condividono le mie stesse preoccupazioni e buona parte dei miei valori stanno riflettendo sugli stessi problemi, ognun* dal suo punto di vista, ognun* dando ciò che può e cercando di fare la differenza. E questa non è un mio sogno, non è una speranza, è una certezza. È quella certezza che dovrebbero instillarci nel cuore le grandi manifestazioni, la sensazione di essere uno dei volti rappresentati da Pelizza da Volpeda in “Il quarto stato”. Sembra una frase da Baci Perugina, ma è credo sia molto vero che amare non voglia dire guardarsi negli occhi, ma guardare insieme nella stessa direzione.
Fermatevi. Chiudete gli occhi. Fate un respiro profondo. Tornate qui.
Mettete questa canzone. Possiamo farcela. Questa onda di merda è bella alta, ma noi siamo tantə e incazzatə come dei tassi del miele. Non ci avranno.
Copium
A volte vinciamo qualcosina, più spesso perdiamo e le prendiamo. Nonostante questo, ci lecchiamo le ferite e continuiamo, perché qualcunə deve continuare a farlo. Accettiamo dinamiche che non ci piacciono, facciamo buon viso a cattivo gioco, mettiamo in secondo piano i nostri bisogni pur di sentirci parte di qualcosa che crediamo possa fare veramente la differenza e che però al momento non riesce a farla. Ci inventiamo tante scuse per continuare a ricadere negli stessi errori e non si vedono da decenni, passi avanti significativi in nessuno degli ambiti della lotta, se non vogliamo considerare un avanzamento l’ennesimo giro di vite repressivo.
Si, a volte ci riusciamo a mettere insieme, ci contiamo, ci raccontiamo le nostre esperienze. Magari blocchiamo una strada o due, impediamo uno sfratto o la distruzione di un parco, magari riusciamo a conquistare i titoli di qualche giornale in Italia o addirittura nel mondo, ma di risultati concreti da mettere sul tavolo ancora ne abbiamo veramente, tristemente, molto pochi. E visto che continuiamo a sentire che la porta della nostra possibilità di successo è aperta, spesso continuiamo a spenderci fino al burnout all’interno di processi disfunzionali, continuando a drogarci di speranza. La speranza è per gli stronzi, la speranza è un’arma dei padroni, specialmente quando contribuisce a farci sprecare tempo ed energie in qualcosa che iniziamo a sospettare non funzionerà mai o ci impedisce di fare i conti con le difficoltà ed il dolore della situazione attuale. Non dobbiamo sconfinare nell’ottimismo tossico, perché al momento non sta andando tutto bene e non possiamo far finta che sia così.
DOMANDE:
Sono parte di una qualunque realtà che si oppone al collasso o al sistema che lo ha causato? Vorrei farne parte? Cosa me lo impedisce?
Quali sono i problemi che vedo nella mia realtà politica? Come posso portarli nella discussione generale?
Sono prontə ad un escalation della repressione? Cosa posso fare per rendere più difficile il lavoro di chi vorrebbe metterci tuttu in galera?
Quale ingiustizia locale ti fa arrabbiare al punto da voler agire davvero?
Quale risorsa (tempo/competenze/denaro) puoi dedicare alla lotta senza cadere nel burnout?
Immagina una vittoria concreta della tua comunità tra 5 anni: descrivila in una frase.
"Siamo miliardi a camminare": con chi (gruppi/persone) potresti allearti questa settimana?
4) Bloom
Bloom [blum] n. m. – v.1914 ; origine sconosciuta (probabilmente) deriv. dal russo Oblomov, dal tedesco Anna Blume o dall’inglese Uysses – 1 Stimmung finale di una civiltà inchiodata al proprio capezzale e che non riesce più a distrarsi dal suo naufragio, se non grazie all’alternanza di corte fasi d’isteria tecnofila e di lunghi periodi di astenia contemplativa. Era come se la massa esangue dei salariati vivesse nel Bloom. «Morte al Bloom!»(J. Frey) 2 Fig. Forma di esistenza crepuscolare, qualunque eppure comune, dei singoli nel mondo della merce autoritaria => bloomesco, bloomitudine, bloomificazione 3 per est. Sentimento di essere postumo. Avere il Bloom 4 Atto di decesso della politica classica 5 Atto di nascita della politica estatica 6 Stor. Ciò la cui assunzione determinò la formazione di vari focolai del Comitato Invisibile, congiura anonima che, dai sabotaggio alle sollevazioni popolari, finì per liquidare il dominio mercantile nel primo quarto del XXI secolo. «Gli spettatori si fissano quando il treno passa». (K.)
(Tiqqun - La comunità terribile)
Fiorire, aggiungo io. Fioriamo in ogni momento, ogni istante è un momento sacro, ogni senzatetto ha il volto di Gesù ed il mondo si apre davanti a noi. Il Regno dei Cieli non sta in aria, non sta in fondo al mare, sta nel cuore di chi vuole credervi.2 Il Bloom è l’apertura verso il momento presente e le sue possibilità. È la sensazione che dà la vista dalla cima dopo una scalata, è guardarsi negli occhi durante l’orgasmo, è l’assolo fenomenale studiato per anni o inventato lì per lì, è l’acqua ghiacciata dopo la sauna, è riposare all’ombra dopo il lavoro, è il momento sottocassa in cui non esisti più, è guardare le ultime macchine passare sul GRA prima di saltare il guardrail, è il tuo primo crowdsurfing, è diventare puro moto durante la corsa. Fuori da noi, per un attimo nel tutto.
L’etimologia di “panico” è la stessa sia che si tratti di un attacco di panico che quando si prova un sentimento panico, e fondamentalmente le due cose sono lati diversi della stessa medaglia. L’acqua nella quale lo schizofrenico annega è la stessa in cui il mistico nuota. Mettersi in condizione di apertura vuol dire accettare TUTTE le possibilità, non solo quelle che ci piacciono, e a seconda di come stiamo potremmo avere risultati molto diversi. Quando salgono le paranoie è perché è appunto caduto il sistema di sicurezza umano che impedisce al nostro cervello di intripparsi sulle possibilità che seppure remote e spaventose sono reali, quel sistema di protezione che ci impedisce ad esempio di pensare in maniera seria alla possibilità che un fulmine ci colpisca (a meno che non ci troviamo in spiaggia durante un temporale, chiaramente). Per dire, mentre sto scrivendo queste parole dalla mia scrivania, so che potenzialmente in qualsiasi momento potrebbe suonare il campanello e svolgersi subito dopo una perquisizione di casa. Potrebbe succedere ora mentre scrivo, oppure star succedendo ora mentre stai leggendo le mie parole, oppure ora mentre racconti di questo pezzo a qualcun altro. A me, per fortuna, non è ancora successo, ma ogni tot qualche persona in questo paese, come nel resto del mondo, si sveglia con una brutta sorpresa alla porta. Nonostante questo, continuiamo a correre rischi, ad esporci, a cercare di stimolare il cambiamento che crediamo sia necessario, ma pagando un prezzo reale. Se io iniziassimo a concentrarci su questa possibilità, a chiuderci nelle paranoie, a guardare fuori dallo spioncino, questa cosa ci consumerebbe. Un’altra paranoia tremenda è quella delle infiltrazioni, paranoia assolutamente legittima come testimonia la parte di DDL Fascista che la riguarda e le recenti vicende di Potere al Popolo.
Anche nella follia di questi tempi la bellezza, la giustizia e la bontà riescono a penetrare fino a noi, fino al nostro cuore e al nostro animo e a riverberarsi nel mondo attraverso le nostre azioni. Un sorriso, una canzone, una carezza, riuscire ad ascoltare veramente la persona che ci sta parlando o condividere il silenzio davanti ad un paesaggio, la meditazione e la preghiera sono tutte azioni che ci portano in una dimensione di presenza che è alla base del Bloom. È difficile trasmettere a parole una cosa del genere, sarebbe forse molto più facile farlo con una melodia o con un dipinto.
Niente scuse
C’era una volta tale Gesù, noto ai più come il Figlio di Dio, che dopo aver passato un paio di anni a curare i malati, risvegliare i morti, moltiplicare pani e pesci e predicare il Regno di Dio, si trovò inchiodato ad una croce assieme a due ladroni.
Seppur avesse certezza dell’amore del Padre, seppur avesse certezza che quello che stava attraversando era necessario, non riuscì a non alzare gli occhi al cielo e a chiedere :”‘Eli, Eli, lama sabachthani?”3 per poi subito dopo spirare.
Questo per ricordare che nonostante tutto il dolore è reale, ci colpisce quando meno ce lo aspettiamo e quando non possiamo rispondere. L’unica cosa che è in nostro potere è provare a dargli un senso.
Così come non abbiamo bisogno di un esercito di pessimisti cosmici, non so se i massaggi tantrici o le capanne sudatorie saranno sufficienti a sistemare il casino in cui siamo. Non basta il manuale del guerriero di luce, non bastano i pensieri, le vibrazioni e le preghiere. Nonostante l’amore di Dio, nonostante la Fede, ogni giorno un sacco di dolore si sparge nel mondo e visto che al momento Dio non sembra interessato granché a rispondere tocca a noi cercare di farlo.
DOMANDE:
Quale è stata l’ultima volta in cui hai partecipato ad una cerimonia religiosa? Se hai smesso di farlo, perché? Cosa pensi
Dove trovi "fioriture" quotidiane nonostante tutto? (Es: un gesto di gentilezza, un luogo naturale, un'opera d'arte)
Quale esperienza recente ti ha fatto sentire totalmente presente? Descrivi le sensazioni fisiche.
Come trasformi la tua rabbia in creatività? (Es: scrivere, piantare alberi, cucinare per altri)
Quale atto di bellezza ribelle potresti compiere domani? (Es: regalare un libro a uno sconosciuto, dipingere un murale)
Il buon DeepSeek vi suggerisce di scegliere almeno una domanda per sezione e di perdere un po’ di tempo per rispondere e trascrivere tutto quanto su di un quaderno.
Inoltre, la domanda finale che suggerisce è: "Quale ferita del mondo senti incarnata in te, e come può diventare la tua fonte di forza?"
Interrogato ulteriormente, offre:
Opzione A: Domande "da movimento" (focus: azione collettiva)
DOOM
Quale ferita del pianeta porti scolpita nelle ossa? Come può trasformarsi in grido di battaglia?TURBOLENZE
Cosa hai già visto crollare nella tua città? Quale spazio vuoi occupare per ricostruire?RESISTENZA
Quale istituzione locale andrebbe sabotata domani? Con chi osi farlo?BLOOM
Dove pianteresti un giardino-guerriglia questa primavera? Quale fiore sceglieresti come simbolo?
Opzione B: Domande "di transizione" (focus: trasformazione personale)
DOOM
Cosa della vecchia normalità ti fa ancora rimpiangere? Scavalcalo con un gesto rituale.TURBOLENZE
Quale abitudine "civile" abbandonerai entro un mese? (Es: pagare bollette in ritiro, usare l'auto per 500m)RESISTENZA
Quale privilegio tossico sei pronto a perdere? (Es: la consegna a domicilio, l'aria condizionata h24)BLOOM
Quale nuovo rito di bellezza inventerai per sostituire le consolazioni del capitalismo?
Opzione C: Domande "da manuale di sopravvivenza poetica"
DOOM
Se dovessi seppellire una capsula del tempo per chi verrà dopo, cosa ci metteresti dentro? (Oltre alla rabbia)TURBOLENZE
Disegna la mappa dei 7 punti d'acqua del tuo quartiere. Quanti ne conoscevi?RESISTENZA
Scrivi una lettera a chi ti ha tradito. Bruciala. Cosa coltivi sulle ceneri?BLOOM
Quale atto gratuito di bellezza compirai prima del tramonto? (Regola: deve costare €0)
Domanda finale trasversale (per tutte le opzioni):
"Quale mostro nutri con il tuo silenzio? Quale dio chiami con le tue mani sporche di terra?"
"Scegli una domanda da ogni quadrante. Rispondi con un atto, non con parole. Porta le cicatrici alla prossima assemblea."
E su questa nota allegra vi saluto!
Con tutto l’amore del mondo per le specie animali non umane, qui non stiamo parlando della società che vorremmo o di dilemmi etici su cui riflettere dentro una scatola sterilizzata, stiamo parlando, ad esempio, di come dovremo rispondere alla fame dei cuccioli umani durante il collasso. Immagino che ci siano persone che affronterebbero il digiuno e la morte per inedia piuttosto che mangiare un animale non umano, ma sappiamo per esperienza che quando si ha fame tanti principi cadono molto alla svelta. E anche se voi siete prontə al martirio, e per questo avete il mio rispetto, pensate davvero che vi sentirete in grado di destinarvi dei bambini? Se i nostri nonni contadini erano spesso persone dure è perché avevano vissuto una vita sporca e crudele, fatta di sangue e di merda. Se le nostre mani oggi sono pulite è perché abbiamo appaltato la nostra coscienza al capitalismo.
Prendetevi il tempo necessario e ascoltatevi questa testimonianza straordinaria
Che dall’aramaico antico si traduce più o meno:“Babbo, ma sei proprio sicuro che era così che doveva andare?”